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Non che mi aspettassi chissà cosa alla mia veneranda età
ma mai avrei potuto immaginarmi di sentirmi chiamare nonnino. No, no.
Immaginazione ne ho sempre avuta tanta. Quella che mi ha fatto fantasticare per
tutta la vita su un altro mondo, quello che non si vede ma in cui noi viviamo
ogni giorno. Che mi ha fatto capire il mondo degli spiriti e utilizzare
l’immensa energia che conservano, anzi che conserviamo noi umani, perché
esattamente come ho imparato che gli uomini sono i vettori delle energie degli
spiriti ho scoperto anche che gli uomini possono utilizzare la loro energia
come neanche il più antico e potente degli spiriti può fare.
È stato quindi facile trovare altri uomini con le mie
stesse conoscenze. Ci sentiamo tra di noi perché avere a che fare con questo
tipo di energia ti fa vedere il mondo in modo diverso. Come se in mezzo alla
nebbia (la nebbia è il normale modo di osservare l’esistenza umana) si fosse
dotati di un raggio laser. Se sei in grado di usare e vedere quel raggio laser
ti sarà facile notare quelli prodotti da altri.
Così fu che in mezzo alla nebbia dell’esistenza umana,
quella che ho fuggito fin da giovane diventando un eremita, ho trovato la
compagnia di alcuni uomini che come me hanno imparato a conoscere e usare
quelle tecniche che dapprima ci consentirono di migliorare la nostra conoscenza
delle arti marziali per poter vivere in pace in quest’epoca piena di malvagità
e che poi hanno forse anche avuto la fortuna di annusare quel mondo pieno di
quell’energia che ha consentito ad alcuni di acquisire poteri apparentemente
sovrannaturali. C’è chi li ha messi a disposizione degli uomini, per difenderli
per insegnare queste pratiche agli allievi, chi come me oltre tanto non è mai
voluto o non ha mai saputo andare.
Mi hanno sempre rimproverato di essere un pigro, un orso,
un asociale; penso che avessero ragione tutti. Non ho mai creduto nell’uomo,
nella sua bontà; non sono diventato un cinico ma neanche ho mai desiderato di
aiutare il prossimo più di tanto e mi sono comunque sempre considerato un
buono. Semplicemente non sono un paladino della giustizia, un benefattore. Se
capita di incontrare nella mia foresta di bambù qualche indifeso oppresso da un
cattivo allora mi prodigo nel difenderlo; e così mentre ci sono mi alleno un
po’.
Ma poi successe quel che non potevo immaginare e forse
l’unica cosa che poteva obbligarmi a cambiare: un bambino! Proprio a me che ho
evitato la classica vita per la mia ricerca spirituale e la mia vita spirituale
ha voluto condurmi fino a questo punto e non mi sono opposto in nessun modo,
perché nessuno sa resistere ai bambini, si sa. Ma questo bambino era, diciamo,
un po‘ diverso dagli altri: non esattamente amabile come dovrebbero essere.
Anzi, sembrava pura malvagità ed è forse ciò che mi ha “smosso”: così come non
ho mai creduto alla bontà umana non volli credere neanche alla sua malvagità.
Perché sì, mi fu chiaro fin dall’inizio che quel bambino
fosse cattivo. Ho pensato, avendolo trovato nudo in mezzo alla foresta che
fosse diventato semplicemente selvatico ma mi sembrava però anche impossibile
che un bambino che non sembrava aver più di un anno potesse sopravvivere da
solo in una foresta, per giunta pericolosa, come quella dove da tempo immemore
risiedo. Ma questo fu il pensiero di un vecchio che sente un pianto di un
bambino piccolo, accorre istintivamente a salvarlo, lo prende in braccio e il
bambino smette subito di piangere ma solo per morderlo immediatamente e con
tutta la sua forza. Tanto che stupito e arrabbiato lo buttai istintivamente per
terra e, allo stupore da cui ero pervaso, si aggiunse l’incredulità, lo
sbalordimento, che provai solo la prima volta che vidi energia pura scorrere
fuori dal mio corpo, che vidi il mondo con gli occhi degli spiriti, che il mio
maestro mi indusse a cercare ed accrescere per salvare il mondo; una meraviglia
tanto grande da farmi credere di essere una volta ancora in contatto con gli
spiriti, di vedere qualcosa che gli uomini comuni non potevano vedere (ma avrei
scoperto poco tempo dopo che quel bambino non era uno spirito e che tutti
potevano vederlo): il bambino aveva la coda!
Mi fece pena e tenerezza come forse dovrebbero fare tutti
i bambini e per questo decisi di portarmelo a casa. Di averne cura, nutrirlo e
pulirlo.
Non fu un compito facile perché il bambino pareva solo
volermi far del male. Gli mostravo la pappa e lui fingeva di quietarsi per
ricevere il suo cibo ma era un trucco! Appena avvicinavo la mano a lui coglieva
l’occasione per prenderla e morderla, e scampare alla sua morsa era difficile
come sollevare un masso grande come una casa. Il bambino aveva una forza
mostruosa e non c’era verso di addomesticarlo. Cominciavo a scoraggiarmi ma non
riuscivo a non nutrire simpatia per quel piccolo mostro. Non avevo più voglia
di farmi azzannare il braccio che rischiavo di perdere per le ferite accumulate
nei giorni e quindi decisi di lanciargli il cibo da lontano come si fa con le
bestie. Lo osservavo incuriosito e lui si quietava come gli animali quando
mangiano e mi accorsi presto che la vera quiete la raggiungeva solo dopo
essersi sfamato. Compresi presto che sfamarlo era semplicemente impossibile. Un
giorno, dopo aver ucciso un dinosauro altro dieci metri cominciai a farlo a
fette per cuocerle poco per volta nel fuoco. Ebbene se lo divorò quasi tutto
sotto i miei occhi increduli. La quiete che palesava dopo la sazietà era solo
apparente perché appena mi avvicinavo mi saltava addosso. E mi sembrava che le
mie arti non fossero sempre sufficienti a contenere la furia di quel bambino
che pareva conoscere naturalmente i rudimenti del combattimento, alla sua
tenera età! Camminava come un bambino di poco più di un anno ma correva e
saltava come un atleta. Più volte sono stato lì lì per utilizzare l’energia per
tenergli testa ma avevo paura di ucciderlo.
Poi un giorno tutto ciò diventò un ricordo di quelli
tanto lontani dalla realtà attuale da sembrare un sogno. Un giorno mi sfuggì.
Non lo trovavo più e quando lo scorsi stava correndo nella foresta ma non
poteva sapere che in mezzo a quelle sterpaglie si nascondeva un burrone
pericolosissimo.
Corsi come non facevo da tantissimo, come chi vuole
salvare il proprio figliolo dalla morte. Volavo quasi sopra i cespugli, sentivo
l’energia scorrere nel mio corpo, nei miei piedi; sì sì, volavo quasi ma non
riuscii a raggiungerlo. Vidi quel piccolo diavolo venire ingoiato da quelle
sterpaglie e mi lanciai per cercare di prenderlo al volo ma riuscii a guardarlo
precipitare dal burrone. Speravo che tirasse fuori la sua forza e le sue capacità
sovrumane ora che servivano, Vai piccolo, attaccati a quel ramo! Forza
cucciolo, aggrappati a quella sporgenza, riparati la testa. Ma niente, vedevo
il suo corpo rimbalzare di ramo in ramo, da roccia a roccia sempre più inerme e
coperto da zampilli di sangue. Fino a che arrivò a lambire il torrente che
aveva scavato, nei secoli, questo burrone. Per la prima volta mi veniva da
piangere. Mai mi ero sentito così. Solo un pensiero echeggiava nella mia testa,
Goku, Goku, bambino mio. Mi prendevo in giro da solo per pensare a quel
cadaverino col nome di mio padre. A provare affetto e ora tristezza per quel
piccolo mostro che per quanti sforzi facessi non mi avrebbe mai amato.
Mi precipitai giù dal burrone. Volevo lavare il corpo del
piccolo; mi sembrava brutto che fosse arrivato, dopo tante sofferenze, vicino
al fiume senza potersi rinfrancare con la freschezza delle sue basse e limpide
acque. Avrei chiesto allo spirito dell’acqua di prendersene cura e di dirigere
la sua anima là dove doveva stare; in mezzo ai demoni che non conoscono
famiglia e affetto, che vivono per combattere e mangiare e nient’altro, che
hanno la loro funzione per tenere in equilibrio il creato.
Ma una volta giunto vicino al corpo del piccolo ebbi un
nuovo sussulto di meraviglia come d’altronde mi capita ogni volta abbia a che
fare con lui, con Goku.
Mi aspettavo un ammasso di pelle e ossa frantumate ma
invece il corpo, tranne qualche escoriazione, era integro. E una volta lavate
le ferite con mia ulteriore sorprese mosse la coda e poi aprì gli occhi. Stavo
per spaventarmi per lo sgomento e perché non ero più abituato a stare così
vicino a quel bambino tanto pericoloso ma invece mi commossi e lo abbracciai,
Son Goku, ti chiamerai Son Goku piccola peste, gli dissi istintivamente e mi
sorrise. Mi sorrise come fanno i bimbi normali. Cercò anche di prendere il mio
cappello con la sfera del drago che gli porsi immediatamente, tanto gli calzava
perfettamente in quanto il piccolo era dotato di un gran testone.
Tornammo a casa come nonno e nipote. Lo portavo sulle
spalle canticchiando e il piccolo rideva alle mie canzoni. Iniziava una nuova
vita per me e per lui di cui solo una cosa mi era chiara: gli avrei insegnato
le arti marziali e Goku sarebbe diventato un combattente eccezionale.