sabato 26 dicembre 2015

Il punto di vista di Nonno Gohan

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Non che mi aspettassi chissà cosa alla mia veneranda età ma mai avrei potuto immaginarmi di sentirmi chiamare nonnino. No, no. Immaginazione ne ho sempre avuta tanta. Quella che mi ha fatto fantasticare per tutta la vita su un altro mondo, quello che non si vede ma in cui noi viviamo ogni giorno. Che mi ha fatto capire il mondo degli spiriti e utilizzare l’immensa energia che conservano, anzi che conserviamo noi umani, perché esattamente come ho imparato che gli uomini sono i vettori delle energie degli spiriti ho scoperto anche che gli uomini possono utilizzare la loro energia come neanche il più antico e potente degli spiriti può fare.
È stato quindi facile trovare altri uomini con le mie stesse conoscenze. Ci sentiamo tra di noi perché avere a che fare con questo tipo di energia ti fa vedere il mondo in modo diverso. Come se in mezzo alla nebbia (la nebbia è il normale modo di osservare l’esistenza umana) si fosse dotati di un raggio laser. Se sei in grado di usare e vedere quel raggio laser ti sarà facile notare quelli prodotti da altri.
Così fu che in mezzo alla nebbia dell’esistenza umana, quella che ho fuggito fin da giovane diventando un eremita, ho trovato la compagnia di alcuni uomini che come me hanno imparato a conoscere e usare quelle tecniche che dapprima ci consentirono di migliorare la nostra conoscenza delle arti marziali per poter vivere in pace in quest’epoca piena di malvagità e che poi hanno forse anche avuto la fortuna di annusare quel mondo pieno di quell’energia che ha consentito ad alcuni di acquisire poteri apparentemente sovrannaturali. C’è chi li ha messi a disposizione degli uomini, per difenderli per insegnare queste pratiche agli allievi, chi come me oltre tanto non è mai voluto o non ha mai saputo andare.

Mi hanno sempre rimproverato di essere un pigro, un orso, un asociale; penso che avessero ragione tutti. Non ho mai creduto nell’uomo, nella sua bontà; non sono diventato un cinico ma neanche ho mai desiderato di aiutare il prossimo più di tanto e mi sono comunque sempre considerato un buono. Semplicemente non sono un paladino della giustizia, un benefattore. Se capita di incontrare nella mia foresta di bambù qualche indifeso oppresso da un cattivo allora mi prodigo nel difenderlo; e così mentre ci sono mi alleno un po’.

Ma poi successe quel che non potevo immaginare e forse l’unica cosa che poteva obbligarmi a cambiare: un bambino! Proprio a me che ho evitato la classica vita per la mia ricerca spirituale e la mia vita spirituale ha voluto condurmi fino a questo punto e non mi sono opposto in nessun modo, perché nessuno sa resistere ai bambini, si sa. Ma questo bambino era, diciamo, un po‘ diverso dagli altri: non esattamente amabile come dovrebbero essere. Anzi, sembrava pura malvagità ed è forse ciò che mi ha “smosso”: così come non ho mai creduto alla bontà umana non volli credere neanche alla sua malvagità.
Perché sì, mi fu chiaro fin dall’inizio che quel bambino fosse cattivo. Ho pensato, avendolo trovato nudo in mezzo alla foresta che fosse diventato semplicemente selvatico ma mi sembrava però anche impossibile che un bambino che non sembrava aver più di un anno potesse sopravvivere da solo in una foresta, per giunta pericolosa, come quella dove da tempo immemore risiedo. Ma questo fu il pensiero di un vecchio che sente un pianto di un bambino piccolo, accorre istintivamente a salvarlo, lo prende in braccio e il bambino smette subito di piangere ma solo per morderlo immediatamente e con tutta la sua forza. Tanto che stupito e arrabbiato lo buttai istintivamente per terra e, allo stupore da cui ero pervaso, si aggiunse l’incredulità, lo sbalordimento, che provai solo la prima volta che vidi energia pura scorrere fuori dal mio corpo, che vidi il mondo con gli occhi degli spiriti, che il mio maestro mi indusse a cercare ed accrescere per salvare il mondo; una meraviglia tanto grande da farmi credere di essere una volta ancora in contatto con gli spiriti, di vedere qualcosa che gli uomini comuni non potevano vedere (ma avrei scoperto poco tempo dopo che quel bambino non era uno spirito e che tutti potevano vederlo): il bambino aveva la coda!

Mi fece pena e tenerezza come forse dovrebbero fare tutti i bambini e per questo decisi di portarmelo a casa. Di averne cura, nutrirlo e pulirlo.
Non fu un compito facile perché il bambino pareva solo volermi far del male. Gli mostravo la pappa e lui fingeva di quietarsi per ricevere il suo cibo ma era un trucco! Appena avvicinavo la mano a lui coglieva l’occasione per prenderla e morderla, e scampare alla sua morsa era difficile come sollevare un masso grande come una casa. Il bambino aveva una forza mostruosa e non c’era verso di addomesticarlo. Cominciavo a scoraggiarmi ma non riuscivo a non nutrire simpatia per quel piccolo mostro. Non avevo più voglia di farmi azzannare il braccio che rischiavo di perdere per le ferite accumulate nei giorni e quindi decisi di lanciargli il cibo da lontano come si fa con le bestie. Lo osservavo incuriosito e lui si quietava come gli animali quando mangiano e mi accorsi presto che la vera quiete la raggiungeva solo dopo essersi sfamato. Compresi presto che sfamarlo era semplicemente impossibile. Un giorno, dopo aver ucciso un dinosauro altro dieci metri cominciai a farlo a fette per cuocerle poco per volta nel fuoco. Ebbene se lo divorò quasi tutto sotto i miei occhi increduli. La quiete che palesava dopo la sazietà era solo apparente perché appena mi avvicinavo mi saltava addosso. E mi sembrava che le mie arti non fossero sempre sufficienti a contenere la furia di quel bambino che pareva conoscere naturalmente i rudimenti del combattimento, alla sua tenera età! Camminava come un bambino di poco più di un anno ma correva e saltava come un atleta. Più volte sono stato lì lì per utilizzare l’energia per tenergli testa ma avevo paura di ucciderlo.

Poi un giorno tutto ciò diventò un ricordo di quelli tanto lontani dalla realtà attuale da sembrare un sogno. Un giorno mi sfuggì. Non lo trovavo più e quando lo scorsi stava correndo nella foresta ma non poteva sapere che in mezzo a quelle sterpaglie si nascondeva un burrone pericolosissimo.

Corsi come non facevo da tantissimo, come chi vuole salvare il proprio figliolo dalla morte. Volavo quasi sopra i cespugli, sentivo l’energia scorrere nel mio corpo, nei miei piedi; sì sì, volavo quasi ma non riuscii a raggiungerlo. Vidi quel piccolo diavolo venire ingoiato da quelle sterpaglie e mi lanciai per cercare di prenderlo al volo ma riuscii a guardarlo precipitare dal burrone. Speravo che tirasse fuori la sua forza e le sue capacità sovrumane ora che servivano, Vai piccolo, attaccati a quel ramo! Forza cucciolo, aggrappati a quella sporgenza, riparati la testa. Ma niente, vedevo il suo corpo rimbalzare di ramo in ramo, da roccia a roccia sempre più inerme e coperto da zampilli di sangue. Fino a che arrivò a lambire il torrente che aveva scavato, nei secoli, questo burrone. Per la prima volta mi veniva da piangere. Mai mi ero sentito così. Solo un pensiero echeggiava nella mia testa, Goku, Goku, bambino mio. Mi prendevo in giro da solo per pensare a quel cadaverino col nome di mio padre. A provare affetto e ora tristezza per quel piccolo mostro che per quanti sforzi facessi non mi avrebbe mai amato.
Mi precipitai giù dal burrone. Volevo lavare il corpo del piccolo; mi sembrava brutto che fosse arrivato, dopo tante sofferenze, vicino al fiume senza potersi rinfrancare con la freschezza delle sue basse e limpide acque. Avrei chiesto allo spirito dell’acqua di prendersene cura e di dirigere la sua anima là dove doveva stare; in mezzo ai demoni che non conoscono famiglia e affetto, che vivono per combattere e mangiare e nient’altro, che hanno la loro funzione per tenere in equilibrio il creato. 
Ma una volta giunto vicino al corpo del piccolo ebbi un nuovo sussulto di meraviglia come d’altronde mi capita ogni volta abbia a che fare con lui, con Goku.
Mi aspettavo un ammasso di pelle e ossa frantumate ma invece il corpo, tranne qualche escoriazione, era integro. E una volta lavate le ferite con mia ulteriore sorprese mosse la coda e poi aprì gli occhi. Stavo per spaventarmi per lo sgomento e perché non ero più abituato a stare così vicino a quel bambino tanto pericoloso ma invece mi commossi e lo abbracciai, Son Goku, ti chiamerai Son Goku piccola peste, gli dissi istintivamente e mi sorrise. Mi sorrise come fanno i bimbi normali. Cercò anche di prendere il mio cappello con la sfera del drago che gli porsi immediatamente, tanto gli calzava perfettamente in quanto il piccolo era dotato di un gran testone.


Tornammo a casa come nonno e nipote. Lo portavo sulle spalle canticchiando e il piccolo rideva alle mie canzoni. Iniziava una nuova vita per me e per lui di cui solo una cosa mi era chiara: gli avrei insegnato le arti marziali e Goku sarebbe diventato un combattente eccezionale.